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un, due e tre: la prevenzione eccola qua, di Claudia Crivelli e Laura Pedevilla*

Prevenire, nella sua definizione globale e per quanto attiene alla criminologia, significa studiare le cause della criminalità, pianificando interventi mirati che permetteranno di evitare o almeno diminuire l’insorgere della criminalità futura, combattendo tali cause.

Prendendo spunto dalle recenti violenze avvenute a Roma, possiamo introdurre la distinzione tra diversi tipi di prevenzione della criminalità e della violenza. È risaputo che atti di violenza come quelli avvenuti a Roma non possono essere attribuiti ad una causa unica, né essere affrontati con un “rimedio” unico. Essi dipendono invece da una costellazione di situazioni sociali a diversi livelli. Gli interventi devono dunque avvenire in più ambiti, e la prevenzione deve essere tripartita in prevenzione primaria, prevenzione secondaria e prevenzione terziaria.

La prevenzione terziaria, maggiormente utilizzata in ambito di criminalità, si occupa di evitare la riproduzione di un atto di violenza e limitarne gli effetti. La sanzione che riceveranno i ragazzi delle violenze di Roma, come per esempio la privazione di libertà, rientra in questa categoria, poiché la conseguenza negativa dell’atto dovrebbe trattenere la persona dal ricommetterlo.

La prevenzione secondaria vuole aiutare individui in situazioni di rischio o tensione. Questo tipo di prevenzione agisce prima della commissione del reato. I giovani di Roma sono probabilmente frustrati e arrabbiati per le condizioni socio-economiche cui devono fare fronte: la prevenzione secondaria agisce prima che questi sentimenti possano sfociare in atti di violenza (vedi anche “Giovane, povero e nulla da perdere”, di Venturelli).

La prevenzione primaria si aggancia alle radici della violenza, agisce in maniera generica e non è incentrata su di una popolazione specifica di (potenziali) delinquenti. Le campagne contro il bullismo o i programmi contro la violenza e il vandalismo condotti nelle scuole sono un esempio di questo tipo di prevenzione. Essi ambiscono a sensibilizzare i ragazzi, a lasciarli esprimere il loro disagio e ad insegnar loro a chiedere aiuto, per cercare di evitare i due scalini superiori: la rabbia o la frustrazione e, da ultimo, la violenza.

Quest’ultimo genere di prevenzione è quello maggiormente importante, poiché agisce prima del disagio e ancor prima della devianza o violenza, ma purtroppo è il meno applicato. Solo negli ultimi anni in Ticino si è cominciato a lavorare nel campo della prevenzione primaria, ma non purtroppo per tutti i fenomeni di violenza (vedi per esempio hooliganismo o violenza domestica).

I modelli di prevenzione in vigore tendono ancora a concentrarsi su individui già considerati a rischio, applicando prevalentemente la prevenzione terziaria e secondaria nelle famiglie e negli istituti educativi. Ciò è umano, in quanto la prevenzione primaria è meno tangibile ed i suoi effetti più velati: la comunità vede nel concreto gli effetti di una privazione di libertà, per esempio, ma fatica ad accorgersi di come, in dieci anni, lo spaccio di stupefacenti può essere diminuito. Inoltre, non va dimenticato che la prevenzione primaria dovrebbe essere attuata prima che il fenomeno diventi visibile e preoccupante, e proprio perché esso sembra ancora arginato, si ha tendenza a non darci importanza.

Ciò nonostante, chi già lavora in questo settore sa che una politica di prevenzione efficace deve agire sull’insieme delle dimensioni evocate, ivi compreso la prevenzione primaria, e anche se gli effetti sembrano meno visibili. La conoscenza di un fenomeno criminoso permette infatti il conseguente studio approfondito dei programmi di prevenzione esistenti e, per questo, costituisce una tappa fondamentale del lavoro di lotta alla criminalità in Ticino.

*www.crimen.ch

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